Nel 1882 Jigorō Kanō era docente di inglese ed economia alla Gakushūin.
Dotato di straordinarie capacità pedagogiche, intuì l'importanza
dell'attività motoria e dell'addestramento al combattimento, se
insegnati adeguatamente per lo sviluppo fisico ed intellettuale dei
giovani.
« Il jū-jutsu
tradizionale, come tante altre discipline del bu-jutsu, poneva
l'obiettivo strettamente ed esclusivamente sull'attacco-difesa. È
probabile che molti maestri abbiano anche impartito anche lezioni sul
significato della Via e altrettanto sulla condotta morale, ma,
adempiendo il loro dovere di insegnanti, la meta primaria rimaneva
quella di insegnare la tecnica.
Diverso è invece il caso del Kōdōkan, dove si dà importanza anzitutto
all'acquisizione della Via e la tecnica viene concepita unicamente come
il mezzo per raggiungere tale obiettivo. Il fatto è che le ricerche sul
jū-jutsu mi portarono verso una Grande Via che pervade l'intero sistema
tecnico dell'arte, mentre lo sforzo e i tentativi per definire l'entità
della scoperta mi convinsero chiaramente dell'esistenza della Via
Maestra, che ho definito come "la migliore applicazione della forza
mentale e fisica". »
Quindi, Jigorō Kanō Shihan eliminò dal randori
tutte le azioni di attacco armato e di colpo, che potevano portare al
ferimento (talvolta grave) degli allievi: tali tecniche furono ordinate
solo nei kata, in modo che si potesse praticarle senza pericoli. Ed infatti, una delle caratteristiche fondamentali del jūdō
è la possibilità di effettuare una tecnica senza che i praticanti si
feriscano. Ciò accade grazie alla concomitanza di diversi fattori quali
l'abilità di uke nel cadere, la corretta applicazione della tecnica da parte di tori, e alla presenza del tatami che assorbe la caduta di uke.
Nel combattimento reale, come può essere una situazione di pericolo
contro un aggressore armato o non, una tecnica eseguita correttamente
potrebbe provocare gravi menomazioni o finanche essere fatale.
Difatti non bisogna mai dimenticare il retaggio marziale del jūdō: il Prof. Kanō studiò e approfondì le nage-waza della Kitō-ryū, le katame-waza e gli atemi-waza di Tenshin Shin'yō-ryū
e costituì un suo personale sistema di educazione al combattimento
efficace e gratificante, supportato da forti valori etici e morali
mirati alla crescita individuale e alla formazione di persone di valore.
Scrive Barioli: «Questa è la diversità di concezione tra il jūjutsu e il jūdō.
Dalla tecnica e dalle esperienze del combattimento sviluppate nel
periodo medievale, arrivare tutti insieme per crescere e progredire col
miglior impiego dell'energia, attraverso le mutue concessioni e la
comprensione reciproca.» Questa fu la vera evoluzione rispetto al jūjutsu che si attuò anche attraverso la formulazione dei principî fondamentali che regolavano la nuova disciplina: seiryoku-zen'yō ("il miglior impiego dell'energia") e jita-kyō'ei ("tutti insieme per il mutuo benessere").
Le qualità sulle quali si poggia il codice morale del fondatore e alle quali ogni judoista (jūdōka) dovrebbe mirare durante la pratica e la vita di tutti i giorni si rifanno agli ideali del bushidō: gi (onestà), yū (coraggio), jin ( benevolenza), rei (educazione), makoto (sincerità), meiyo (onore), chūgi (lealtà).
Per ottenere ciò, secondo gli insegnamenti del Prof. Kanō, è
necessario impiegare proficuamente le proprie risorse, il proprio tempo,
il lavoro, lo studio, le amicizie, al fine di migliorare continuamente
la propria vita e le relazioni con gli altri, conformando cioè la
propria vita al compimento del principio del "miglior impiego
dell'energia". Da ciò dunque l'alto valore educativo del judo.
A tal proposito scrive Stornaiuolo:
«L’elemento peculiare dell’ideale del Prof. Kanō, il fine ultimo della
sua filosofia, è – senza mezzi termini – il cambiamento della società. Jita-kyōei,
ossia la “mutua prosperità”, è il veicolo di un immaginario pacifista e
ambientalista, che vede il perfezionamento dell’uomo come la chiave di
volta dell’intero sistema. La consapevolezza dell’inutilità del singolo
ha il suo duale positivo nell’unione di più individui il cui obiettivo è
il benessere comune. Il Kōdōkan Jūdō si propone quindi come lo
strumento adatto al raggiungimento dello scopo: trascendendo
l’educazione fisica (rentaihō) e la teoria dell’attacco-difesa (shōbuhō), si giunge al jūdō superiore (shūshinhō),
dove il praticante è in armonia con se stesso e gli altri, e dove gli
altri sono in armonia con loro stessi e collettivamente coi singoli.»
Il judo mira a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica e cioè Bun-bu, la penna e la spada, la virtù civile e la virtù guerriera.
« Il dottor Kanō
utilizzava un ideale giapponese molto antico: forza e cultura unite
insieme. La cultura senza forza è inefficace, la forza senza cultura è
barbarica. Il dottor Kanō esemplificava questo ideale nella sua persona;
creò il jūdō, ma fu anche un personaggio di spicco dell’istruzione
nazionale, oltre che preside di due importanti licei e autore degli
scritti raccolti in tre importanti volumi.
Spiegò che l’ideogramma “bun”comprendeva i concetti di cultura, raffinatezza, buon carattere, chiarezza di visione e d’intelligenza. “Bu”significa capacità di combattere, forza di volontà, concentrazione,
capacità di mantenere la calma. Divideva questo ideogramma in due parti; La parte in basso a sinistra significa “controllare” o “fermare”,
la parte in alto a destra era il vecchio carattere che significava
“lancia”. L’ideogramma, complessivamente, significa “controllare la lancia”.
Vuol dire che bisogna imparare a usare la lancia, non allo scopo di
attaccare, ma per “controllare la lancia” con cui si viene attaccati.
Questa doveva essere la base fondamentale della forza bu che si ottiene praticando il jūdō o altre arti marziali.»